Pubblichiamo il saggio di Rosita Tordi Castria, Presidente della SICL – Società Italiana di Comparatistica Letteraria, svolto in occasione del Convegno Internazionale promosso dalla stessa SICL presso l’Università Ca’ Foscari nei giorni 29 e 30 novembre 2023.

Ascendenze di Calvino nel saggio “L’Eroe Virile” dell’ultimo Asor Rosa

In Visibilità, IVa delle Lezioni Americane, Italo Calvino richiama Il capolavoro sconosciuto di Balzac a testimonianza della inafferrabilità dell’immaginazione visiva: è il racconto della vicenda di un vecchio pittore, ossessionato dall’idea di creare un quadro perfetto che catturi in una singola figura l’anima del mondo, il cui esito è un caos di colori, una nebbia senza forma, dalla quale emerge soltanto un piede femminile.[1]

È di tutta evidenza che il racconto è introdotto da Calvino in funzione di una riflessione a chiarezza di sé:

La fantasia dell’artista è un mondo di potenzialità che nessuna opera riuscirà a mettere in atto: quello di cui facciamo esperienza vivendo è un altro mondo, che risponde ad altre forme di ordine e di disordine; gli strati di parole che s’accumulano sulle pagine come gli strati di colore sulla tela sono un altro mondo ancora, anch’esso infinito, ma più governabile, meno refrattario a una forma. Il rapporto tra i tre mondi è quell’indefinibile di cui parlava Balzac: o meglio, noi lo diremmo indecidibile, come il paradosso d’un insieme infinito che contiene altri insiemi infiniti.[2]

Segue una puntualizzazione del ‘primato’ della scrittura letteraria rispetto agli altri linguaggi artistici:

Comunque, tutte le ‘realtà’ e le ‘fantasie’ possono prendere forma solo attraverso la scrittura, nella quale esteriorità e interiorità, mondo e io, esperienze e fantasia appaiono composte della stessa materia verbale; le visioni polimorfe degli occhi e dell’anima si trovano contenute in righe uniformi di caratteri minuscoli o maiuscoli, di punti, di virgole, di parentesi; pagine di segni allineati fitti fitti come granelli di sabbia rappresentano lo spettacolo variopinto del mondo in una superficie sempre uguale e sempre diversa, come le dune spinte dal vento del deserto. [3]

È leggibile in quest’ultima annotazione un riferimento a Collezione di sabbia, la raccolta di saggi del 1984 in cui il tema del vuoto e del nulla rinvia a quello della scrittura letteraria come operazione morale, compiutamente delineato nella precedente raccolta del 1980, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società.[4]

Emblematico il saggio di apertura, Il midollo del leone, del 1955:

In ogni poesia vera esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia. Il rigore di linguaggio, il rifiuto d’ ogni compiacenza romantica, il senso della realtà scontata e difficile, la non adesione alle apparenze più vistose, l’avara presenza del bello e del bene, questo è il midollo del leone.[5]

Si condensa in questa immagine l’idea di una ‘moralità’ come tensione a una coerenza tra valori e comportamento che marca dall’inizio alla fine l’attività letteraria e intellettuale di Calvino.

Senza dubbio importante in questa direzione l’ascendente dello scrittore anglo/polacco Joseph Conrad al quale si avvicina negli anni Quaranta, traducendo i primi otto capitoli del romanzo Lord Jim e scegliendo la sua narrativa quale tema della tesi di laurea in Lettere nel 1947.

Il rapporto prosegue intensissimo tra la fine degli anni Quaranta e la prima metà del decennio successivo: oltre al saggio La linea d’ombra di Josef Conrad in «L’Unità» del 15 giugno 1947, Joseph Conrad scrittore poeta e uomo di mare, in «L’Unità» del 6 agosto 1949 e I capitani di Conrad in «L’Unità» del 3 agosto 1954.

In un passaggio di quest’ultimo saggio Calvino confessa:

Credo siamo stati in molti ad avvicinare Conrad spinti da un recidivo amore per gli scrittori avventurosi – ma non avventurosi soltanto: quelli per cui l’avventura serve a dire cose nuove degli uomini, e le vicende e i paesi straordinari servono a segnare con più evidenza il loro rapporto con il mondo. Su questo mio scaffale ideale, Conrad ha il suo posto accanto all’aereo Stevenson, che è pure quasi il suo opposto, come vita e come stile.[6]

Subito dopo una precisazione eloquente:

Più di una volta sono stato tentato di spostarlo su un altro ripiano – meno sottomano per me – quello di romanzieri analitici, psicologici, dei James, dei Proust, dei ricuperatori indefessi d’ogni briciola di sensazioni trascorse; o perfino su quello degli esteti più o meno maledetti, alla Poe, gravidi di amori trasposti; quand’anche le sue oscure inquietudini d’un universo assurdo non lo assegnino allo scaffale – non ancora ben ordinato e selezionato – degli ‘scrittori della crisi’.

Invece l’ho tenuto sempre là, a portata di mano, con Stendhal che gli assomiglia così poco, con Nievo che non ci ha niente a che vedere.[7]

La esibita ‘devozione’ non gli impedisce tuttavia di formulare un giudizio tranchant nel saggio del 1949, Joseph Conrad scrittore poeta e uomo di mare:

Non fu uomo d’idee democratiche: tutt’altro. Fu un fiero e dichiarato reazionario, i suoi eroi sono uomini di stampo antico, il suo massimo ideale la fedeltà, della Rivoluzione francese non rievoca che orrori. Aveva una speciale idiosincrasia, del tutto immotivata e irrazionale, per gli anarchici: e su di loro, che di fatto non aveva mai conosciuto, scrisse un intero romanzo (L’agente segreto) e diversi racconti.[8]

Subito dopo una precisazione in qualche misura ‘riparatrice’:

Ma il suo reazionarismo, come sempre nei reazionari d’ingegno, aveva radici storiche ed economiche ben definite. […] Conrad è l’uomo formato dall’antico capitalismo mercantile con una sua etica ben precisa, che giudica il nuovo mondo dell’industria e dello sfruttamento coloniale senza scrupoli.[9]

E in una lettera del luglio 1950 a Mario Motta la confessione:

Ma chi se non i rivoluzionari possono ormai imparare da lui?[10]

Del tutto in linea lo svelto profilo dello scrittore anglo/polacco che Calvino traccia nel corso di una conferenza nella sua Sanremo il 24 marzo 1958, Natura e storia del romanzo:

L’uomo è per Conrad sospeso tra due immagini del caos: quella della natura, o del cosmo, un universo buio e senza senso; quella del fondo oscuro dell’uomo, del suo inconscio, del suo senso del peccato. Conrad non si ferma a indagare l’una o l’altra; i suoi eroi sono coloro i quali, nonostante l’una o l’altra, riescono a portare in salvo la nave. Essere all’altezza della situazione, sulla tolda della nave come sulla pagina, è l’ideale morale di Conrad. [11]

Torna qui l’idea della radicale eticità della scrittura letteraria la cui metafora, ‘il midollo del leone’, scelta quale titolo del saggio del 1955, è presente per la prima volta nel saggio del 1954, I capitani di Conrad:

Se a molte cose non ho mai creduto al fatto che fosse un bravo capitano ho creduto sempre, e che portasse nei suoi racconti quella cosa che è così difficile da scrivere: il senso di una integrazione nel mondo conquistata nella vita pratica, il senso dell’uomo che si realizza nelle cose che fa, nella morale implicita nel suo lavoro, l’ideale di saper essere all’altezza della situazione, sulla coperta dei velieri come sulla pagina.

Questo è il midollo del leone della narrativa conradiana. [12]

È con questa angolazione di sguardo che Alberto Asor Rosa nel 2021 dedica a Conrad il saggio L’Eroe Virile, sottotitolo Trilogia della sconfitta.[13]

Un appello in esergo recita:

Agli uomini che non si sono arresi …

Agli uomini che non s’arrendono

Piace ad Asor, in sintonia con Calvino, portare all’evidenza come nei tre romanzi, Tifone, Cuore di Tenebra e La linea d’ombra, pur scritti da un conservatore, l’Occidente celebri la sua saga estrema: inoppugnabile testimonianza lo sferzante j’accuse conradiano del colonialismo europeo, propagandato come civilizzazione, di fatto atto di violenza esercitato su popolazioni che, per il solo fatto di essere diverse, sono ritenute inferiori.

Rovesciando l’ordine cronologico in cui quei romanzi sono stati pubblicati, Asor sceglie di aprire la sua indagine con La linea d’ombra, il romanzo nel quale la vicenda delle difficoltà di un vecchio marinaio nella sua ultima avventura come capitano di una nave è la testimonianza che, comunque raggiunta e superata la ‘linea d’ombra’, resta sempre operante il rischio umano d’imbattersi e confliggere, spesso senza sapere né come né perché, con le tenebre e il nulla.[14]

È in qualche misura l’anticipazione dell’analisi di Cuore di tenebra, il romanzo riproposto da Calvino nel 1974 nella collana Centopagine, con l’Introduzione di Giuseppe Sertoli, il quale ne propone una lettura squisitamente politica:

‘Lavoro’, ‘progresso’, ‘sviluppo’ ecc., insomma tutte le parole d’ordine nel nome delle quali l’Europa si stava allora spartendo il grande ‘corpo’ dell’Africa, non sono altro che mistificazioni, alibi che le potenze imperialistiche accampano per condurre quella ‘gioconda danza’ o meglio ‘sordida farsa’ del commercio e della morte che è la realtà del colonialismo: una realtà che proprio Heart of Darkness (l’opera di un conservatore) smaschera con forza e lucidità a quei tempi ineguagliate.[15]

In totale consonanza Asor il quale sottolinea che il ‘cuore delle tenebre’ è la civiltà occidentale che, al culmine di sé, si rovescia nel suo contrario: una barbarie che nell’atto di distruggere l’Altro distrugge sé stessa.

A chiudere il saggio L’Eroe Virile è l’analisi del romanzo Tifone, il cui protagonista, Mac Whirr, diventa capitano del piroscafo Nan – Shan, che costeggia la Cina, senza avere alcuna esperienza della vita di mare.

Se riesce a fare argine alla violenza del tifone che minaccia di affondare la sua imbarcazione è in virtù del fatto che permane in lui, pur sotto l’assalto di mostruose difficoltà, la forza potenzialmente invincibile dell’essere sé stessi, diversamente dagli altri, se necessario, contro tutto.

Ne consegue che Mac Whirr, uomo di intelligenza limitata, finisca tuttavia per configurarsi come il capitano per eccellenza sia nella lettura di Asor che in quella di Calvino il quale, nel saggio I capitani di Conrad, fa riferimento all’impassibile dominatore del tifone in funzione di un ritratto di Conrad che è anche un malcelato autoritratto:

Di fronte a una valanga nera e caotica che gli crollava addosso, a una concezione del mondo gravida di misteri e disperazioni, l’umanesimo ateo di Conrad resiste e punta i piedi come Mac Whirr in mezzo al tifone. Fu un reazionario irriducibile, ma oggi la sua lezione può essere appresa appieno solo da chi ha fiducia nelle forze dell’uomo, da chi riconosce la propria nobiltà nel lavoro, da chi sa che quel ‘principio di fedeltà’ cui egli soprattutto teneva, non può essere rivolto solo al passato.[16]

È ancora la conferma che Asor non si è di fatto mai sottratto alla lezione di Calvino, nonostante il loro rapporto, fin dall’inizio ‘agonistico’, abbia registrato un’aspra conflittualità intorno alla metà degli anni Sessanta.[17]

Persuasiva testimonianza al riguardo due lettere inviate da Calvino ad Asor da Torino nel maggio 1958 e nell’aprile 1963.[18]

La prima, riproposta qui integralmente, recita:

Ho letto il tuo saggio che aspettavo con impazienza. La tua lettura della Speculazione ed. è perfetta; avere un lettore che colga e valorizzi ogni spessore e sfumatura d’un’opera, senza che nulla vada perso, – ogni intenzione dell’autore e anche al di là dell’intenzione ma sempre nella sua verità – è la maggiore soddisfazione che si può avere scrivendo.

Anche mi sento capito e interpretato molto bene nei programmi etico-letterari, nella prima parte del tuo saggio. Particolarmente esatto e mai finora detto (e neppure da me finora chiaramente espresso, sebbene proprio quello volevo intendere) è il punto l’individuo non il personaggio. Tutta la colonna 2° di p.4 e metà della p.5 mi sono preziosissime. E giusto mi pare anche il rapporto con Pavese: mito e storia. (Prima, dimenticavo, giusto il confronto con Pasolini.)

Poi comincia il problema del mondo poetico (direi mondo poetico, piuttosto che poetica) che tu definisci con un esempio molto tipico: Pratolini. Però è anche un esempio comodo: uno scrittore per il quale tutto l’universo che può essere materia di poesia è racchiuso in un microcosmo municipale o addirittura rionale. Per qualsiasi altro scrittore che non sia Pratolini il problema subito si complica. Potrei dirti che per me il corrispondente di quella Firenze è il mondo naturale della memoria infantile: la Riviera ligure, dai boschi fino al mare, cioè il mondo dell’asocialità. Fin che ho scritto storie partigiane era tutto fuso: boschi, avventura, rivolta e l’unica società che conoscessi e riconoscessi cioè i partigiani. Poi, da quando ho cercato una realtà sociale più complessa, vado a tentoni. Il mio essermi fatto torinese ha funzionato sul piano culturale, non sul piano del mondo poetico. Questa è una chiave possibile, che può arrivare fino alla Speculazione, cioè al ripiegare su una storia di inassimilabilità sociale e d’impossibile ritorno al paesaggio natale. Ma le chiavi possono essere anche altre: Cases (nel saggio su ‘Città aperta’) adopera quella dell’epica; Leonardo Sciascia (su un numero del «Ponte» di quest’anno) la passione storico-morale. Comunque è lì che dovrebbe cominciare il lavoro (e il divertimento) del critico; trovare un’unità tra cose che apparentemente van ciascuna per conto loro. E se quest’unità non c’è, vuol dire che lo scrittore non c’è, e allora sono tutti discorsi inutili. Uno scrittore creativo, poeta o narratore, è fatto dalle opere creative, e basta; le dichiarazioni culturali valgono se fanno corpo col lavoro creativo, se no sono un puro flatus vocis. Non voglio difendere questa o quella opera; anzi, non voglio difendermi affatto; solo dirti che questa parte nella tua indagine l’hai appena sfiorata. (Forse avrai occasione di completarla col mio libro che uscirà per fine anno: una raccolta della mia produzione narrativa breve).

Comunque la tua scelta della Speculaz.ed. e la tua indicazione della mia vera via (dramma dell’intellettuale borghese visto criticamente dall’interno) è in sé giusta e razionale. Ma, vista dalla parte mia, ha una faccia terribilmente decadente: l’autobiografismo, l’introspezione, l’egocentrismo, tutte cose che ho sempre odiato e combattuto. (Già: perché dici che Il sentiero dei nidi di ragno – la storia più oggettiva che io abbia mai scritto – è semiautobiografico? Autobiografia la storia d’un fratello di puttana? Posso farti causa, sebbene non abbia l’onore di nessuna sorella da difendere!) L’entrata in guerra e La speculazione edilizia  sono stati due cedimenti all’autobiografismo (il primo in chiave di autoesaltazione, con un “io” modello di tutte le virtù come quello di Carlo Levi; il secondo in chiave di autodenigrazione, mettendo al mio posto il più fallito e fottuto tipo d’intellettuale possibile, ma a parte questo, è autobiografia al 95%, tanto che non so se potrò mai pubblicarla in volume, perché i personaggi sono tali e quali e riconoscibilissimi e i fatti quasi tutti veri). Devo continuare per questa strada? Ma non si sa dove si va a finire, l’autobiografismo è una materia mal padroneggiabile, i confini del poetico e del significativo s’allargano, l’uomo si arrende alla corrente delle cose accadute, perde le sovrane prerogative dell’arte, la scelta e l’esclusione. Come vedi, siamo a un problema che forse è quello a cui si possono ridurre tutti i problemi della letteratura moderna: il rapporto tra esperienza soggettiva e rappresentazione del mondo.

Diverso il registro della lettera successiva dove sono molto più consistenti gli indizi della controversia:

Devo dire che mi hai capito benissimo e hai saputo definire e analizzare il mio libro con assoluta fedeltà. Certo, un’analisi come la tua poteva nascere soltanto dal contrasto ideologico (i nostri due diversi ‘marxismi’). Ebbene: ben venga allora il contrasto! (dirò, per farti gridare all’irreducibile ‘dialettica’!). Cosa vuoi che ti dica? Io sono così. Proprio così come tu dici. Tu lo dici con accento di critica ideologica. E io ti rispondo che mi dispiace che tu non la pensi come me.

La presa di distanza di Calvino è di fatto già consumata, inesorabile, definitiva, mentre Asor continua a seguire da vicino la produzione creativa e saggistica calviniana di cui fin dagli inizi riconosce la peculiarità nella idea condivisa che la scrittura letteraria sia fondamentalmente un’operazione morale.

Testimonianza non trascurabile in questa direzione il suo scritto, Il cuore duro di Calvino, pubblicato sulla «Repubblica» del I° dicembre 1985:

[…] la percezione, dietro l’eleganza raffinata della scrittura, dell’esistenza di un nocciolo duro, di un elemento di resistenza conficcato nella parte più segreta e profonda della sua natura, non facile da sciogliere né da comunicare, anzi, a dire la verità, talvolta anche parecchio scostante. Che cosa fosse questo nocciolo duro, ho faticato a lungo a capirlo, anche se almeno una volta, leggendo La giornata di uno scrutatore, credo d’essermi avvicinato alla sua comprensione. Oggi non avrei più dubbi al proposito: senza voler togliere nulla alla legittimità delle interpretazioni realistico-fiabesche, mi sono persuaso che questo nocciolo duro, questo elemento irriducibile di resistenza, è la natura morale dell’ispirazione calviniana, e che in essa, forse, consiste il vero fattore di continuità, la coerenza complessiva della sua ricerca da Il sentiero a Palomar, il macigno sotterraneo da cui spiccava il volo la sua fantasia o si dipanava il filo sottile del suo ragionamento. Voglio proporre insomma di leggere Calvino come scrittore morale. […].               Per me lo scrittore morale è quello che si limita a suggerire dei comportamenti e ad additare una linea di condotta: ma, al tempo stesso, affianca alla natura apparentemente limitata del “messaggio” l’inflessibile persuasione che non si può rinunciare alle regole di comportamento né a perseguire con fedeltà e tenacia una linea di condotta, pena l’inabissamento nel magma dell’indistinto e dell’arbitrario. Ricordiamoci che il suo più lontano scritto (risaliamo addirittura al 1955) s’intitola, – e il titolo è già un programma – Il midollo del leone.

E in Spiegazione, la nota con cui introduce nel 2001 Stile Calvino, la raccolta degli studi pubblicati tra il 1957 e il 2000, Asor scrive con malcelata trepidazione:

La lotta con il silenzio, la sfida ai limiti del dicibile, queste caratteristiche così peculiari della sua arte – che alla fine si sono misurate frontalmente con quelle che lui definiva la crescente corrosione delle parole, la perdita della comunicazione, la peste dei linguaggi, presentano valenze che vanno ben al di là del mero gioco letterario.

Si tratta di un Beruf, che permea ogni aspetto della sua produzione intellettuale, creativa e saggistica, cementandone l’unità in una fisionomia inconfondibile, in un concentrato senza eguali di elementi formali ed esistenziali: lo ‘stile Calvino’.

Confesso ingenuamente di provare per questo Beruf un’acuta nostalgia.[19]

ROSITA TORDI CASTRIA


NOTE

[1] ITALO CALVINO, Visibilità, Le lezioni americane, Sei proposte per il prossimo millennio, 1a edizione Milano Garzanti, 1988; ora in Saggi, Meridiani, Milano, Mondadori, tomo I° pp. 711 – 714

[2] Ibid.

[3] Ibid.

[4] ITALO CALVINO, Una pietra sopra. Discorsi di letteratura e società, Torino, Einaudi, 1980; ora I Meridiani, Milano, Mondadori, op.cit., tomo I°, pp.9 – 399

[5] ITALO CALVINO, Il midollo del leone, saggio apparso per la prima volta nel fascicolo di giugno 1955 di «Paragone», ora I Meridiani Mondadori, op.cit., tomo I° p.25.

[6] ITALO CALVINO, I capitani di Conrad, Meridiani Mondadori, op. cit., tomo I°, p.815.

[7] Ibid .

[8] ITALO CALVINO, Joseph Conrad scrittore poeta e uomo di mare, Meridiani Mondadori, op.cit., tomo I°, p.812

[9] Ibid.

[10] ITALO  CALVINO, LETTERE, Oscar Moderni, Milano , Mondadori, 2023, p.176

[11] ITALO CALVINO, Natura e storia del romanzo, ora in Saggi, Meridiani Mondadori, op.cit., tomo I°, pp. 39-40

[12] ITALO CALVINO, I capitani di Conrad, Meridiani Mondadori, op.cit., tomo I°, p. 815.

[13] I romanzi analizzati sono Cuore di tenebra, Tifone, La linea d’ombra, pubblicati nelle edizioni Einaudi rispettivamente nel 1899, 1901 e 1916.

[14] La prima edizione Einaudi, del 1916, ha l’Introduzione di Cesare Pavese e la Prefazione dell’autore.

[15] GIUSEPPE SERTOLI, Introduzione, p.XIV.

[16] ALBERTO ASOR ROSA, I capitani di Conrad, op.cit. pp.818 – 819.

[17] ALBERTO ASOR ROSA, L’Eroe Virile, Torino, Einaudi, 2021.

[18] La prima lettera di Calvino ad Asor è del 21 maggio 1958 (lettera 404) in risposta alla recensione Calvino dal sogno alla realtà in «Supplemento scientifico-letterario» del n° 3-4 (marzo-aprile 1958) di «Mondo Operaio». La successiva, del 4 aprile 1963 (lettera 549) sempre da Torino, occasionata dalla recensione del romanzo La giornata di uno scrutatore, è stata pubblicata nello stesso anno sul quindicinale del Psiup «Mondo nuovo» del 31 marzo con il titolo Italo Calvino nel labirinto. Entrambe le lettere ora in I. Calvino, LETTERE, Oscar Moderni, Milano, Mondadori, op.cit., p.362 e p.487

[19] ALBERTO ASOR ROSA, Stile Calvino, Torino, Einaudi, 2001, p.XII.